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Home » Economia » Poggio di Camporbiano: tra la Toscana e San Paolo in Brasile

Poggio di Camporbiano: tra la Toscana e San Paolo in Brasile

Ottobre 31, 2019 da redazione Lascia un commento

L’azienda agricola opera anche nel Sud America, portando avanti allevamenti e colture senza antibiotici e prodotti chimici di sintesi 

Poggio di Camporbiano

Un ponte bio tra San Gimignano (Si) e il Brasile. A idearlo e portarlo avanti è l’azienda agricola Poggio di Camporbiano, conosciuta per la coltivazione e lavorazione di cibi biologici, dal 1988 a oggi. La fattoria fa uso esclusivamente di prodotti e preparati naturali per la concimazione, per la difesa delle piante e per la cura degli animali. L’attività adotta la rotazione delle colture e ha come obbiettivo l’aumento della vitalità del terreno. Dalla Toscana il progetto si è esteso anche in Brasile. 

Poggio di Camporbiano: i numeri delle due fattorie 

La fattoria sudamericana creata sul modello di Poggio di Camporbiano si estende per 50 ettari a San Paolo. Si trova avvolta in un clima tropicale, vi lavorano stabilmente 6 soci oltre a quattro dipendenti e conta 120 bovini di razza Jersey che producono 12 quintali di latte crudo al giorno. La produzione spazia dal caffè alla frutta, core business anche in Brasile sono i formaggi. 

Poggio di Camporbiano-mucca

Per quanto riguarda i numeri di Poggio di Camporbiano in Toscana, nel 2018 è stato registrato un fatturato di 1.005.000,00 euro. I numeri di questa realtà includono anche 300 ettari a disposizione, che per la metà di bosco e la restante parte di superficie agricola utile. Altri 50 ettari fanno parte dello stato di San Paolo in Brasile. Si sommano due punti vendita (a Siena e a Colle di Val d’Elsa), oltre che uno spaccio aziendale. L’azienda agricola consegna anche sul territorio toscano gli ordini ricevuti. 

Storia dell’attività, dagli anni ‘80 a oggi

Poggio di Camporbiano panoramica
default

Ad avviare la fattoria in Toscana sono stati, alla fine degli anni ’80, i fratelli (all’epoca poco più che ventenni) Piero e Fabio Alberti coi loro genitori e la moglie di Piero, Patrizia Narcisi. Tutti radicati da generazioni a Torino, decisi a perseguire il loro sogno controtendenza di provare il “ritorno alla terra”, alla genuinità delle coltivazioni, al mangiare sano, senza uso di concimi chimici e antibiotici. «Per noi questa è una nuova sfida – racconta Fabio -. Abbiamo cercato di replicare il nostro modello toscano anche nello stato di San Paolo. Così è nata la fazenda Terra Limpida. È un’occasione che ci è capitata per caso e non ci siamo lasciati sfuggire. Una bella scommessa, come tutte quelle a cui siamo stati abituati in questi anni. Stiamo comunque già raccogliendo importanti consensi da parte della popolazione e degli enti locali». 

Produzione biologica, dagli ortaggi ai formaggi

Formaggi Poggio di Camporbiano

La produzione che caratterizza Poggio di Camporbiano spazia dagli ortaggi alla frutta, dai cereali al fieno biologico certificato, dai formaggi al latte crudo (premiati nel settore) fino a marmellate, succhi di frutta, sottoli e prodotti da forno. Tutto rigorosamente biologico, dal campo fino alla lavorazione e alla tavola. Vi lavorano 8 soci più 16 dipendenti e in quasi tutti gli ambienti si trovano macchinari all’avanguardia. Macchinari tattici ai fini dell’ottimizzazione delle risorse, umane e ambientali. «La nostra impresa è un microcosmo. Si può dire che non ci sia un vero e proprio proprietario, trattandosi di una cooperativa, svincolata da successioni. Questo rientra nella nostra filosofia di condivisione – spiega Fabio -. L’idea di intraprendere questo cammino è nata perché eravamo alla ricerca di cibo genuino per noi e le nostre famiglie e non c’era mai modo di trovarlo con facilità. Così ci siamo detti: perché non provare a produrlo da soli? E l’abbiamo voluto mettere in pratica, partendo da zero, imparando giorno dopo giorno – è il caso di dire – sul campo i segreti di questo affascinante mestiere. La nostra giornata tipo è quella che si svolgeva nelle fattorie di una volta. Nello specifico, si fa vita comunitaria, si lavora, si mangia insieme, si condividono decisioni e fatiche. E poi, chi l’ha detto che il biologico non vada d’accordo con la tecnologia? Basta saperla usare a piccole dosi e in modo oculato». 

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