Il neo direttore si racconta, parla della riapertura e di nuovi eventi
Osservazione, esperienza e calcolo, applicati a natura ed esseri viventi. Questi elementi erano al centro della vita di Galileo Galilei e oggi sono il fulcro del museo a lui dedicato, inaugurato nel 2010 e situato nel cuore di Firenze (in piazza dei Giudici, nell’antico Palazzo Castellani). Il Museo Galileo espone le collezioni appartenenti all’Istituto e Museo di Storia della Scienza, attivo dal 1930. Uno scrigno, si può dire, custode di sorprendenti raccolte con strumenti scientifici e apparati sperimentali più importanti al mondo, sale dedicate ad astronomia e misurazione del tempo, oltre a chimica e scienza della guerra. Un museo che è anche anima di una cultura in movimento, anima nella diffusione di un sapere scientifico come attività di ricerca e documentazione, non cristallizzato al tempo galileiano. A guidarlo da febbraio di quest’anno è Roberto Ferrari, classe ’81 e siciliano (di Taormina), con alle spalle già un’esperienza come direttore del dipartimento di Cultura, Università e Ricerca della Regione Toscana.
Dopo i vari stop che ci sono stati, quali segnali arrivano dalla riapertura?
«L’attività del museo è ripartita con una buona risposta da parte dei visitatori. Il primo weekend di riapertura sono stati venduti oltre 200 biglietti: un risultato migliore anche della riapertura dell’anno scorso. Abbiamo ripreso a essere aperti tutti i giorni, dalle 9.30 alle 18, tranne il martedì (dalle 9.30 alle 13). Dal 30 maggio è stato attivato anche un servizio di biglietteria on line, che permette di accedere alla struttura saltando la coda. A settembre riprenderanno anche i laboratori per bambini».
Avete lanciato a Berlino la mostra “Leonardo’s Intellectual Cosmos”, arricchita dalla esposizione virtuale in 8 lingue “La biblioteca di Leonardo”. Quali sono i prossimi eventi/iniziative in cantiere?
«La mostra lanciata a Berlino rimarrà ancora in vita, fruibile on line. Oltre a quello ordinario, da giugno prende avvio un programma di attività collaterali. Ad esempio, per il solstizio d’estate, in collaborazione con il Conservatorio Cherubini, ci saranno musicisti nelle sale del Museo Galileo. Stiamo lavorando a una mostra, che dovremmo aprire entro la fine dell’anno, su Dante e la scienza, in collaborazione con gli Uffizi».
Di solito, cosa colpisce di più la curiosità dei bambini rispetto a quella degli adulti che visitano il vostro museo?
«Sia i grandi che i piccini vengono colpiti dal dito medio della mano destra di Galileo (esposto nella sala VII), reperto che, come spiega i catalogo del museo, è stato prelevato dai resti dello scienziato da Anton Francesco Gori nel 1737, simbolo eterno di Galileo come eroe e martire della scienza».
E a tal proposito c’è una curiosità che non tutti sanno: il cantante Caparezza ha intitolato una canzone proprio al dito di Galileo, con un testo che è espressione critica verso chi si adegua al gruppo ed è solo una pecora del gregge.
Qual è la collezione che non ci si aspetta di trovare?
«Penso quella sui primi termometri di vetro della storia, custoditi in una delle più belle vetrine del nostro museo: strumenti affascinanti, di grande pregio artigianale e utilissimi; venite a scoprire il “termometro a ranocchietta”».
Qual è la scoperta di Galileo che più l’affascina e perché?
«L’idea di puntare il cannocchiale verso il cielo invece che solo verso la terra (per uso militare). A volte più che cambiare punto di vista serve cambiare orizzonte».
Alessandra Ricco
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