La Casa della Memoria fu il ‘buen retiro’ di Francesco Domenico Guerrazzi
Anima letteraria del Risorgimento, acceso patriota mazziniano e infine tranquillo “fattore” in una proprietà che oggi permette di respirare l’atmosfera dei vecchi poderi di campagna. È Francesco Domenico Guerrazzi (Livorno, 12 agosto 1804 – Cecina, 23 settembre 1873), intellettuale, animatore del movimento risorgimentale e scrittore, che scelse la Fattoria della Cinquantina, nell’omonima località nei pressi di Cecina, come ‘buen retiro’ dove trascorrere i suoi ultimi anni. Acquistata l’11 gennaio 1868 per la somma di 269.000 lire e oggi inserita nel circuito dell’Associazione Nazionale Case della Memoria, La Cinquantina o Villa Guerrazzi, aveva un’estensione di 208 ettari ed era composta da 16 poderi.
Fu lui stesso a occuparsi della sistemazione del secondo piano dell’edificio. Scriveva a un amico: “ho ceduto tutto al mio nipote, distrutto mi sono spogliato, tutto ho donato, e col cuore pieno d’ira, di pietà, di rabbia qui mi sono ridotto solo”. Condivideva la casa padronale con due nipoti, cinque bisnipoti, non meno di nove servi, tre cani, un gatto, una tartaruga e un porcospino. Nel suo ultimo rifugio, Guerrazzi visse appartato e dedito ai suoi studi biografici dei personaggi italiani che, come lui, avevano dedicato la vita a un ideale di libertà e di amor patrio.
«Come amministrazione stiamo lavorando per valorizzare ancora di più la Villa e il suo grande parco – commenta il sindaco di Cecina Samuele Lippi-. Oltre a essere la sede scelta da moltissime coppie per i matrimoni, quest’estate farà da location a un ricco calendario di eventi, soprattutto culturali. Un modo per permettere ai cittadini, ma anche ai turisti, di godere dei suoi ampi spazi. La villa ospita ormai da molti anni il Museo archeologico. Nell’area dove un tempo c’era la stalla adesso i visitatori possono visitare il Museo della Vita e del Lavoro: due poli culturali che saranno ad ingresso gratuito per tutti per almeno tutto il 2021».
«Villa Guerrazzi è la dimostrazione che in Toscana, ma anche nel resto d’Italia, ci sono tantissimi tesori da scoprire – commentano Adriano Rigolie Marco Capaccioli, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Associazione Nazionale case della Memoria -. La Cinquantina è un luogo da cui è passata la storia che merita di essere conosciuto e apprezzato per i suoi begli spazi ma anche per tenere viva la memoria di un personaggio come Guerrazzi che ha vissuto e contribuito a costruire un pezzo importante della storia del nostro paese. Crediamo che sia un luogo da valorizzare e da far conoscere anche e soprattutto a le nuove generazioni».
Al piano padronale di Villa Guerrazzi rimane lo scrittoio, conservato nella sala del Grande Camino, su cui compose il suo ultimo romanzo, ‘Il secolo che muore’, uscito dopo la sua morte il 23 settembre 1873. Nella stanza del camino sono custoditi alcuni libri storici provenienti dall’archivio comunale che descrivono il suo ultimo rifugio. Qui è conservato anche il telegramma che Garibaldi inviò alla potente famiglia livornese degli Sgarallino in cui si menziona proprio Francesco Domenico Guerrazzi, avvocato e tribuno politico.
Oggi, la visita a “Villa Guerrazzi”, circondata da un ampio parco alberato secolare, permette di respirare l’atmosfera delle tipiche case rurali di campagna. Il complesso edilizio (casa ed annessi) è rimasto intatto e accanto alla casa si trova un’area recintata (corte) utilizzata in passato per tenere il pollame e gli attrezzi agricoli più ingombranti. Nel complesso edilizio è stata riprodotta una colombaia (l’originale è andata distrutta), con la sua forma classica di torretta appoggiato sul tetto della casa. Serviva a nutrire i piccioni e a raccogliere la colombina, uno dei concimi più ricercati. Davanti alla casa è visibile il pozzo.
Gli ex spazi della stalla per il bestiame più grosso ed il porcile ospitano oggi il Museo della Vita e del Lavoro che raccoglie gli attrezzi del lavoro contadino nel territorio della Maremma settentrionale. Fanno parte dell’allestimento anche alcuni strumenti per la tessitura. La fattoria infatti era autosufficiente anche per i lavori di filatura della lana, canapa e del lino. Le donne sapevano fare molti lavori manuali che svolgevano nelle lunghe ore invernali al canto del camino.
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